La rubrica "Le piante pioniere della sicurezza" nasce nel tempo sospeso del primo Lock Down, quando IPSAI si ripensava e ripensava a quella sicurezza messa in pericolo e che a tratti sembrava perduta. Questa rubrica raccoglie alcuni contributi che meditano sulla sicurezza in senso più ampio e filosofico, diventando articoli di letteratura della Cultura della Sicurezza.
7 luglio 2020
La dimensione collettiva
Molte aziende hanno erogato durante la chiusura interventi formativi servendosi della modalità da remoto. Non mi interessa in questo momento riaprire l’annosa discussione relativa a efficienza ed efficacia di ciascuna delle modalità di formazione, in assenza o in presenza. Mi affascina ancora meno riprendere le recenti discussioni sulla rispondenza della formazione a distanza ai requisiti dettati dalle norme.
Mi interessa invece chiedermi se le imprese che hanno continuato e continuano con la modalità in remoto o quelle che non hanno ripreso affatto la formazione, non abbiano perso o stiano perdendo un’occasione.
Un’occasione che con la formazione in sé c’entra poco. Ma che riguarda il clima organizzativo, il fare gruppo, la cura delle persone. Tutte cose che, abitualmente, alle imprese interessano molto. Certo più che i singoli argomenti oggetto di formazione.
Le persone, in misura più o meno profonda, sono state tutte toccate dall’emergenza. Alcune sono state colpite direttamente e in modo drammatico, altre sono state risparmiate, ma non per questo sono rimaste esenti dagli effetti e dalla paura.
Il tentativo – individuale e collettivo – di voler rimuovere e lo sforzo di dividere drasticamente il prima dal dopo, il momento del dramma e quello del lieto fine è irrealistico e può indurre a comportamenti irrazionali e pericolosi. Per sè e per gli altri.
Tutti hanno bisogno di ritrovare un equilibrio nella propria vita quotidiana. Le paure frettolosamente rimosse restano latenti e silenziosamente minano il ritorno alla dimensione della normalità, che non si può fondare sul negare, sul sottovalutare o dimenticare, ma che deve partire dalla capacità di ricostruire nuove procedure, di reinventare nuove modalità pubbliche e private, affettive e relazionali.
Queste osservazioni non riguardano, ovviamente chi ha esigenze particolari, chi è stato particolarmente colpito e ha bisogno di trattamenti specialistici, gestiti da professionisti come il trattamento della Sindrome post Traumatica da Stress, ma mi riferisco a tutti coloro, che seppur in misura diversa, debbono confrontarsi con le ripercussioni dell’emergenza e hanno la necessità di lavorare su se stessi per ritrovare un pieno stato di equilibrio, aumentare la consapevolezza delle proprie opportunità e il proprio livello di benessere.
Lo spazio di un corso di formazione in presenza, ricco di contenuti, ma anche con spazi di confronto e socialità, può essere un buon modo di rimettere le persone, abituate all’isolamento, a contatto. A distanza di sicurezza, certamente, ma in grado di guardarsi negli occhi, di ritrovarsi, di esprimersi. In uno spazio meno coercitivo di quello dettato dai ritmi della produzione. Una specie di camera di compensazione, prima di essere restituiti alla quotidianità.
Lo spazio di un corso offre un momento per riconoscere se stessi e rispecchiarsi negli altri. Per permettersi di essere danneggiati e concedersi del tempo per riparare. Individualmente e in gruppo è un buon modo di ricostruire la gruppalità, di darsi un senso, di ripartire.
Poi ci sarà il tempo per ricominciare, ma con più agio, più riserve.
Essere attivi, fisicamente e mentalmente, aiuta a non avvitarsi su se stessi, a distrarsi attraverso attività che richiedano di non concentrarsi troppo sui propri pensieri e sulle proprie paure. È assai utile sostituire il fare al troppo pensare.
In questo periodo ho sentito spesso, anche in un bel webinar dell’Associazione Industriali di Bergamo*, parlare del kintsugi, un’antica arte giapponese che consiste nel riparare con l’oro le rotture delle ceramiche. Il termine significa appunto “preziose cicatrici” e indica che, proprio a causa di un danno, si può diventare più preziosi. Fuor di metafora, ciò allude all’arte di non vergognarsi delle proprie ferite, di assumerle come una parte di sé e della propria esperienza e di acquisire valore attraverso di esse.
Ma per farlo occorre che qualcuno raccolga i cocci. Un’aula di formazione, senza abdicare alla sua attività didattica, può essere uno spazio di confronto tra le persone, di ricostruzione di contatti e valori. Il luogo dove si ripulisce il terreno e si piantano i semi di rinnovate relazioni.
* canale YouTube @Servizi Confindustria Bergamo – https://www.youtube.com/channel/UC_Q38Kp5ybz78MjSl9eZGog
Renata Borgato
Renata Borgato: "Per quanto mi riguarda, io farò il mio mestiere, che è quello di formatrice, consulente aziendale e scrittrice per lanciare provocazioni e per proporre, anche nel contesto del mondo del lavoro, quelle che Goffman chiamava “danze”. Ma danze nuove. I temi rimangono gli stessi, però possiamo provare a declinarli in un altro modo. Sperando che così i nostri interventi acquistino maggiore efficacia. E che ci permettano di pensare alla felicità sul lavoro non come a un’utopia, ma come a una realistica aspirazione. Il proporre nuovi sguardi per problemi noti è quanto ci proponiamo di fare in questa rubrica".