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La rubrica "Le piante pioniere della sicurezza" nasce nel tempo sospeso del primo Lock Down, quando IPSAI si ripensava e ripensava a quella sicurezza messa in pericolo e che a tratti sembrava perduta. Questa rubrica raccoglie alcuni contributi che meditano sulla sicurezza in senso più ampio e filosofico, diventando articoli di letteratura della Cultura della Sicurezza.

24 giugno 2020

Smart working e lockdown

Smart working. Il lockdown ha costretto molte persone a lavorare da casa, con modalità che, proprio per l’eccezionalità della situazione, non avevano potuto essere previste, progettate e programmate preventivamente dall’azienda.

Questo ha creato una condizione, pratica e psicologica, assai diversa da quella di chi già faceva il telelavoro o lo smart working.

Il telelavoro era già utilizzato da tempo. Con questa denominazione, la Commissione Europea nel libro bianco su “Crescita, competitività e occupazione” del 1993 aveva definito la vasta gamma di modi di lavorare che si servono delle telecomunicazioni come mezzo, utilizzato almeno parzialmente all’esterno del tradizionale ambiente di lavoro.

Il telelavoro mantiene due caratteristiche tipiche del lavoro dipendente: l’orario e il luogo di lavoro (casa, ufficio ecc).

L’introduzione dello smart working o lavoro agile è più recente e le sue modalità di esecuzione cambiano completamente le modalità della prestazione lavorativa. Non c’è orario di lavoro e non c’è un luogo di lavoro prescritto.

Proprio per la sua peculiarità lo smart working ha richiesto una regolamentazione a sé stante (d. Lgvo 81, 22 maggio 2017 art. 18 – 24 )

Durante l’emergenza i lavoratori hanno lavorato da casa con modalità non pienamente rispondenti a nessuna delle due tipologie, ma che hanno costituito delle soluzioni ibride, assai variegate. E temporanee.

A monte della loro adozione, non c’è stata scelta, non c’è stata preparazione e il tutto è avvenuto in una situazione di contesto angosciante.

La qualità richiesta a tutti in questo frangente era l’“adattabilità”. O, per usare una parola di moda, la “resilienza” cioè l’abilità intrinseca di mantenere o riguadagnare uno stato dinamicamente stabile che consenta di continuare le proprie attività dopo un grave evento o in presenza di stress continuo.

Forse, peraltro, piuttosto che essere resilienti, cioè in grado di tornare uguali a come si era prima, sarebbe utile essere “antifragili”, neologismo, introdotto da Nassim Taleb, che descrive le caratteristiche di chi non solo è capace di sopportare il caos, ma anche di migliorare sotto lo stress di agenti esterni.

“Qualunque cosa tragga più vantaggi che svantaggi dagli eventi casuali (o da alcuni shock) è antifragile; in caso contrario è fragile”, scrive Taleb.

L’antifragilità dunque va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli schock, ciò che è fragile è soggetto a distruzione a seguito degli eventi esterni, ciò che è antigfragile trae forza da questi.

Taleb sostiene che il miglior esempio di antifragilità è fornito dall’Idra di Lerna, figura mitologica di un mostro con diverse teste. Quando veniva tagliata una di esse, ne nascevano due.

Essere resilienti, o meglio antifragili, sarà necessario anche dopo il ritorno a una situazione non più di emergenza, in cui le cui regole dovranno essere completamente ridefinite.

In questo periodo, successivo alla fase emergenziale, si registra un processo di modificazione del vissuto – personale e lavorativo – di ciascuno. Tra i cambiamenti che si sono prodotti per molti si inscrive anche quello delle modalità di lavoro. Molti continuano e continueranno a svolgere permanentemente il proprio lavoro da casa.

Ciò implicherà la definizione di regole nuove e certe, che superino l’ambiguità della situazione che si è generata durante il lockdown e che avranno ricadute dirette sulla qualità del lavoro e sul benessere delle lavoratrici e dei lavoratori.

Il livello di benessere derivante dal lavoro da casa sarà più o meno alto per ragioni sia oggettive che soggettive. Influiranno su di esso alcune condizioni immodificabili, ma anche la risposta individuale alla situazione. Per questo vale la pena di cercar di produrre le migliori condizioni possibili intervenendo a modificare gli elementi di disagio.

Ciò richiede che si attui un processo negoziale per definire le nuove condizioni di svolgimento delle proprie attività con il Datore di Lavoro, ma anche con le persone con cui si condividono gli spazi per evitare conflitti di prossimità.

Siamo infatti in un periodo in cui gli stravolgimenti che hanno attraversato la società chiedono di stabilire nuove regole in un contesto inedito governato dell’incertezza.
Le aziende e le organizzazioni che si metteranno in gioco e apriranno il confronto su nuove regole e modalità organizzative per i propri lavoratori saranno le nostre piante pioniere che prepareranno il terreno per il futuro.
Ma per questo occorre ascolto e rispetto. E il riconoscimento reciproco delle diversità, dei vissuti e la condivisione di obiettivi ben definiti tra le parti.

Renata Borgato

 

Renata Borgato

Renata Borgato

Renata Borgato: "Per quanto mi riguarda, io farò il mio mestiere, che è quello di formatrice, consulente aziendale e scrittrice per lanciare provocazioni e per proporre, anche nel contesto del mondo del lavoro, quelle che Goffman chiamava “danze”. Ma danze nuove. I temi rimangono gli stessi, però possiamo provare a declinarli in un altro modo. Sperando che così i nostri interventi acquistino maggiore efficacia. E che ci permettano di pensare alla felicità sul lavoro non come a un’utopia, ma come a una realistica aspirazione. Il proporre nuovi sguardi per problemi noti è quanto ci proponiamo di fare in questa rubrica".

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